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Analisi dei dati e Processi decisionali Data driven – Intervista Gruppo Bossoni Automobili

By Editor
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analisi dei dati e processi decisionali data driven
Tempo di lettura 6 minuti

Quando 16 anni fa Matteo Albanese entrò a far parte del Gruppo Bossoni, nello scenario imprenditoriale italiano non si parlava ancora di BI e CRM. Ciononostante, all’interno della strategia aziendale, l’analisi dei dati assumeva già ampia rilevanza. Ogni Business Unit raccoglieva i propri dati, per poi aggregarli in fogli di calcolo.

Era l’inizio di un processo evolutivo che ha portato presto alla creazione di un’infrastruttura solida, meno manuale e più digitale, capace di irrobustire quell’organismo complesso che è l’azienda.

In questi anni “l’ecosistema è cambiato in maniera drastica e radicale” e, l’adesso Direttore Generale del Gruppo Bossoni, ha avuto la fortuna di seguire questo cambiamento per intero.

Del resto, la trasformazione è avvenuta per rispondere ad una semplice evidenza: dealer auto, officine e ricambisti formano un settore che ha a disposizione un’enorme quantità di dati. Dati che, se analizzati con abilità, possono raccontare storie e aiutare le aziende a prendere decisioni.

Abbiamo chiesto a Matteo Albanese di raccontarci in che modo gestire la mole di dati per guidare le scelte aziendali. Ma anche di quali competenze deve dotarsi chi estrae e analizza le informazioni. Infine, quali caratteristiche deve avere un software di analisi per supportare al meglio queste azioni.

  1. Senza i dati, sei solo un’altra persona con delle opinioni

Nella mia vita ho memorizzato alcune frasi che utilizzo come massime. Una di queste è “senza dati, sei solo un’altra persona con delle opinioni”.

La frase, di William Edwards Deming – padre fondatore dell’analisi e gestione della Qualità – riassume bene un concetto cardine per le imprese italiane: per avere solide fondamenta alla base delle strategie aziendali servono i dati.

Chiunque prenda decisioni o crei strategie senza avere a disposizione dati, non ha certezze ma solo belle opinioni. E abbiamo visto nel tempo che le decisioni che non sono supportate da dati, quasi mai portano a successi.

Con queste parole Matteo centra in pieno il tema della rilevanza della misurazione dei dati all’interno dell’ecosistema aziendale. Dotarsi di tecnologie adatte ad eseguire analisi complesse, su grandi quantità di dati, è diventato imprescindibile per valutare lo stato di salute di una azienda.

Così facendo vengono a galla le correlazioni tra ambiti di business differenti, si notano legami nascosti e, più in generale, è possibile fare previsioni e prendere decisioni in maniera più precisa ed efficace.

L’obiettivo è fare in modo che ogni decisione aziendale futura sia supportata da una analisi concreta della situazione presente o passata. Per dirla con le parole di Matteo “nessun confronto su un progetto o una strategia può essere avviato se alla base non ci sono dei dati”.

Il concetto è chiaro, ma il processo che porta ad abbracciarlo non è banale né lineare. Servono capacità organizzative, chiarezza, strumenti adatti e una certa attitudine a lavorare per prove ed errori.

Perché i tentativi insegnano a mettere a fuoco l’obiettivo, ad allenarsi a trovare il set di informazioni più funzionale alle esigenze aziendali.

Nel tempo abbiamo delineato quali fossero i dati necessari alle nostre analisi, creando un’infrastruttura mentale di quel che volevamo misurare. Abbiamo quindi abbracciato delle tecnologie necessarie ad eseguire quelle misurazioni, perché il dato senza tecnologia difficilmente lo tiri fuori senza stare ore a lavoro.

In effetti, ad essere cruciale è la tecnologia necessaria ad estrarre il dato.

Quando si parla di transizione verso un sistema aziendale guidato da un approccio data driven, le indagini ci dicono che in cima alla classifica, tra le voci di spesa di più di mille imprese italiane, svetta la tecnologia, ovvero i software che analizzano i dati. Al secondo posto, si piazzano le attività di integrazione con i sistemi aziendali. Il terzo posto, sul podio degli investimenti, è occupato dalle risorse infrastrutturali (per fornire capacità di calcolo e storage ai sistemi aziendali).

Tra gli obiettivi, dunque, c’è la necessità di assicurare che ogni ambito dell’azienda abbia accesso ai dati. Del resto non tutte le aree del business di un dealer auto hanno la stessa propensione a lavorare con e sui dati.

Di solito è l’ambito commerciale ad essere il più propenso. Questo avviene anche a causa di una deformazione professionale dei brand. Nell’ambito commerciale delle aziende c’è molta più attenzione e cultura del dato. Il mondo del service, del post vendita, invece, ha meno attitudine analitica. Ed è lì che bisogna lavorare per stare al passo e migliorare.

In base al dipartimento, poi, è necessario estrarre un certo tipo di dato “più o meno analitico e più o meno verticale”. Ma chi si occupa di individuare i dati da analizzare, di stabilire quale profondità raggiungerà l’analisi?

In un mondo di data overload, come si individuano i dati rilevanti?

  1. Senza un’opinione, sei solo un’altra persona con i dati

Distribuzione geografica, abitudini di acquisto, preferenze di contatto, inclinazione verso la scelta di servizi accessori, metodi di pagamento favoriti e così via. Dealer, officine e ricambisti sono potenzialmente capaci di raccogliere, custodire e classificare una gran quantità di dati per migliorare il servizio offerto, consolidare i propri trend e individuare nuove opportunità di business.

In questo scenario di sovrabbondanza di dati (data overload), si rischia di non discernere i dati rilevanti da quelli che non lo sono.

L’unico modo per dare un senso a questo mare magnum di informazioni è quello di individuare il criterio di rilevanza, di avere un’opinione che guidi la ricerca. Come dice Matteo Albanese, di “avere un’idea di cosa si vuol analizzare”.

Questo aspetto è ben riassunto da Milo Jones e Philippe Silberzahn: senza un’opinione sei solo un’altra persona con i dati.

A distanza di decenni, il detto di William E. Demings viene ribaltato per sottolineare un fatto cruciale: i dati quantitativi non raccontano una storia.

Da soli, i dati sono neutri e distaccati: per raccoglierli nel modo più efficace serve un’idea chiara della direzione che deve prendere l’analisi. “Mi chiedi quali dati vengono messi a disposizione? È un processo continuo”.
E quindi chi guida questo processo?

Chi decide, di volta in volta, verso che punto dirigere lo sguardo?

In Bossoni, l’approccio è chiaro.

Sono le persone che lavorano all’interno di un settore aziendale a discernere tra un dato rilevante e uno marginale. Non è di certo la Direzione a decidere cosa analizzare.
Per questo, chiunque prenda decisioni ha accesso al software di analisi dei dati ed è naturalmente chiamato a usarlo per fare la propria scelta e giustificarla, se necessario, agli occhi del Gruppo.

La strategia del Gruppo Bossoni è stata finora quella di non dedicare un intero team alla data analysis. Piuttosto si è scelto di puntare sull’alfabetizzazione dei dati per assicurare a tutti le giuste competenze in materia di lettura, utilizzo, analisi e storytelling dei dati.

E qui nasce il terzo aspetto cruciale della discussione sull’analisi dei dati aziendali: le analisi vanno tradotte in un linguaggio naturale che ne supporti la lettura e la comunicazione del significato agli altri.

Parliamo, quindi, del software.

  1. Senza un software, sei solo un’altra persona con dati e opinioni

Non è pensabile che tutti i dipendenti di un’azienda automotive siano analisti. Per questo i software devono essere fruibili e garantire un’ottima lettura dei dati.

Con queste parole Matteo Albanese ha riassunto un nodo particolarmente importante.
Può esser chiaro che genere di dati misurare e l’idea alla guida di questa misurazione può essere già ben delineata, ma se non si ha a disposizione uno strumento efficace, difficilmente si ottiene un vantaggio competitivo dalle analisi condotte.

In breve: se non hai un buon software di analisi, sei solo un’altra persona con dati e opinioni.

Il rischio, infatti, è quello di perdersi in analisi difficili da decodificare, di focalizzarsi sull’atto di incrociare tra loro i dati e perdere di vista l’obiettivo: interpretare i dati per dare un valore alle informazioni e una solida base alle decisioni aziendali.

Per questo motivo il suggerimento che il Direttore del Gruppo Bossoni dà a chi non usa ancora il dato come baricentro del sistema aziendale è quello di:

identificare il set iniziale di dati che può servire ad analizzare gli andamenti dei vari settori del proprio business e trovare un software per utilizzare e leggere facilmente i dati.

La strategia che per noi risulta vincente ruota intorno a due culture importanti: la cultura del dato e quella della fruibilità del dato. E la seconda cultura deve essere centrale tanto quanto la prima. Io posso estrarre qualunque dato, ma se poi il lavoro si perde nel renderlo leggibile, sto perdendo di vista un obiettivo importante.

In altre parole, è vero che il software individuato deve essere capace di scendere in profondità nell’analisi, ma la capacità analitica non è così cruciale se non è accompagnata da una visualizzazione semplice, aggregata, grafica dei dati.

Per riassumere: “si tratta di uno strumento che uso tutti i giorni: in 3 o 4 clic devo poter ottenere un’analisi leggibile”.

Nell’ambito dei software di Business Intelligence, questa esigenza viene gestita con la creazione di dashboard. Si tratta di una pagina progettata appositamente per raccontare una storia sui dati. È composta da diversi grafici, diagrammi o semplici infografiche che facilitano l’analisi delle informazioni.

La dashboard è quindi la conclusione del processo che parte dall’individuazione delle esigenze di analisi, passa per la definizione del set di dati e si conclude, appunto, con l’utilizzo di uno strumento software capace di estrarre le informazioni desiderate e presentarle in un linguaggio semplice e comprensibile.

Infine, la personalizzazione del software è un elemento cruciale nella scelta della tecnologia da utilizzare.

Potersi confrontare con i fornitori del software, condividere esigenze di analisi e necessità di lettura può garantire che il prodotto finale sia veramente omogeneo, automatizzato e de-manualizzato.
Tutte le settimane riflettiamo sulle esigenze e facciamo delle modifiche. Ad esempio la nuova esigenza è quella di monitorare le vendite di elettriche e ibride. Per fortuna abbiamo lavorato così tanto sui dati che ormai è semplice creare una nuova struttura, una nuova analisi per rispondere ad una nuova esigenza. Adesso abbiamo una visione a 360 gradi.

Insomma, in un ecosistema complesso come il nostro, devi appoggiarti ad una tecnologia che ti dia il dato più aggiornato possibile, nel più breve tempo possibile, evitando la manualità e che sia comprensibile a diverse categorie di persone che devono gestirlo.

Con questa sintesi si chiude la nostra intervista.
Le aziende hanno la necessità di avere un occhio sullo storico dei dati per poter fare previsioni quanto più attendibili sul futuro. E, per rispondere a questa esigenza, è necessario trovare un software performante, comprensibile e personalizzabile.


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